Una nuova ferita per un'Europa sempre più vista dai suoi cittadini come patria del potere bancario, e sempre meno come luogo di unione dei popoli.
Questa volta il colpo è inferto dall'opposizione euroscettica di centrodestra che ha vinto le elezioni in Islanda, tornando al potere da cui mancava ormai dal 2008, dopo una disastrosa crisi finanziaria.
Altro vincitore di queste elezioni sul tetto del Mondo è il Partito dei Pirati, movimento che sostiene la libertà del web, che entra per la prima volta nel Parlamento Nazionale.
Esce sconfitta la coalizione di centrosinistra, le cui ricette economiche a base di austerity e rigore -che hanno comunque consentito all'Isola di uscire dalla recessione, con un pil in salita ed una disoccupazione in calo- non sono alla fine risultate gradite all'elettorato islandese.
A festeggiare oggi sono i conservatori del Partito dell'Indipendenza (destra) che hanno ottenuto quasi il 27% dei consensi e 19 seggi in Parlamento.
Il loro leader, il 43enne Bjarni Benediktsson, ha dichiarato l'intenzione di voler formare un governo con il Partito del Progresso (centro), che con il 24,4% dei consensi ha ottenuto anch'esso 19 seggi.
Assieme, centro e destra, arrivano dunque a 38 seggi, su un totale di 63.
Le sinistre (socialdemocratici e verdi) salite al potere nel 2009, dopo il fallimento delle grandi banche, si sono viste dimezzare i parlamentari: i Socialdemocratici sono scesi al 12,9% (9 seggi), mentre il Movimento di Sinistra-Verde ha fermato il proprio crollo al 10,9% (7 seggi).
Tutta la campagna elettorale è stata segnata dal malcontento dei cittadini islandesi, in particolare sulla questione del loro indebitamento: i dati emersi da statistiche ufficiali parlano di una famiglia su dieci in ritardo nei pagamenti dei mutui per la casa o nei rimborsi di prestiti immobiliari.
Quello che, alla fine, risulta evidente dalle scelte operate con il voto di quest'isola sita nell'estremo nord dell'Oceano Atlantico costituita in gran parte da ghiacciai, geyser, vulcani e banche, è che i suoi abitanti pensano che il Parlamento di Reykjavik debba mantenere il controllo totale sulle sue politiche.
In particolare per quelle che riguardano la pesca, piuttosto che negoziare con Bruxelles e con Paesi come la Gran Bretagna e la Spagna, che hanno interesse ad abbassare le quote islandesi, in questo settore vitale per l'economia dell'Isola.
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