Di Giampiero Casoni
Si scrive “neuroscienze” e qualche volta si pronuncia “processo morbido”, almeno fino ai giorni d’oggi, quando un magistrato di Venezia ha deciso di scoperchiare il calderone di una branca del sapere umano che, in giurisprudenza attiva, può aiutare un pedofilo a farla franca davanti ad un Tribunale.
Come? Semplice.
Partendo dall’assunto che le neuroscienze possano evidenziare, in qualità di elemento di prova a discarico per mezzo di una perizia, l’incapacità di dominare certi impulsi in casi di pedofiliaaddirittura conclamata, dove cioè esiste un tizio che è reo confesso del reato. Insomma, un pasticcio maledetto in cui si mescolano darwinismo, squallido sessappiglio da verbale al 112 e procedura penale che, in alcuni casi che censiremo con l’aiuto dell’ottimo “Leggi.it”.
Le neuroscienze sono quelle tecniche anche forensi che hanno come scopo quello di “spiegare le correlazioni tra il sostrato biologico e l’attività mentale di una persona”.
In buona sostanza sono uno scalino alto e comodo per dimostrare in un’aula di tribunale che, se hai tastato la tetta della tua segretaria senza il suo consenso, è perché eri predisposto geneticamente ad un impulso che concettualmente poi coincide con una violazione del Diritto e non perché, più semplicemente, sei imputabile e magari, fuor di valutazione giurisprudenziale, anche un tantinello suino.
Di esempi su questo grimaldello procedurale ve ne sono a caterve: nel 2009, per esempio, il loro impiego aveva permesso ad un assassino di beneficiare di alcune attenuanti in forza dell’idea che una variante genetica lo potesse indurre a comportamenti violenti.
Non erano trascorsi neanche due anni che, nel 2011, si bissò con patate: infermità mentale parziale ad una omicida con riduzione di pena di 10 anni, da 30 a 20.
Sempre nel 2011, “hannus horribilis” per lo stato dell’arte di questa sub-disciplina penale, un ulteriore caso da sturbo: le neuroscienze ficcarono naso e sostanza nel caso di un commercialista, sia pur condannato, a cui venne fatto “l’esame del ricordo autobiografico” al cervello della segretaria che lo aveva denunciato le molestie sessuali; una specie di “rewind”, anche velatamente umiliante per la parte lesa, per evidenziare particolari che magari potessero accertare la tesi per cui quelle molestie erano il frutto di un atavico istinto conservato nel filamento ad elica del Dna.
Il caso più eclatante però si era verificato quando Roberta Marchiori, giudice del Tribunale di Venezia, in un caso di abusi in un asilo, ne aveva avuto abbastanza di vedere questa sorta di versione al contrario di Csi, dove beccucci, sostanze chimiche e genetica parevano un po’ troppo al servizio di un garantismo “alla Piero Angela” che mal collimava, pur essendo il processo penale italiano di carattere accusatorio (è la Procura che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato e non il contrario), con le obiettive aberrazioni di certe consulenze.
Il caso è quello di un pediatra di un asilo nido di Vicenza, reo confesso di abusi su 6 bambine costatigli ora 5 anni con rito abbreviato, caso in cui “il tema del processo era l’ingresso o meno, come prova, delle novità scientifica in virtù della quale la difesa proponeva la non imputabilità per incapacità di intendere e volere al momento dei fatti.
I consulenti ingaggiati dall‘avvocato difensore Lino Roetta, ossia i professori Giuseppe Sartori e Pietro Pietrini, ritenevano infatti che il pediatra avesse maturato una sorta di ‘pedofilia acquisita’, e cioè che , insieme ad alcuni deficit cognitivi, il formarsi di una massa tumorale che premeva sul cervello (scoperta mediante una risonanza magnetica dai consulenti) avesse comportato sulla capacità di intendere e volere un deficit, non consentendogli il controllo degli impulsi sessuali”.
Fra risonanza magnetica, esami e colloqui tecnico clinici, tutto sembrava fondare “sull’Implicit Association Test, Iat, l’esame del ricordo autobiografico sviluppato dall‘equipe di Tony Greenwal nel 1998 per studiare l’intensità dei legami associativi tra concetti rappresentati nella memoria, e far emergere l’informazione implicita inconscia che potrebbe anche non essere accessibile alla coscienza del soggetto”.
Roba pesante come ghisa, in una comunità scientifica, ma scottante come lava del Vesuvio se il suo utilizzo dovesse diventare prassi forense, facile intuirlo. La differenza sostanziale del caso di pedofilia a Venezia stava tutta nel fatto che in quel caso la perizia della difesa si era rotta i premolari contro il muro di una contro consulenza della Procura, che ha dimostrato come la storia dell’applicabilità delle neuroscienze al diritto di difesa di un imputato fosse risicata e poco probatoria.
Casi scuola furono quelli, nel 2009 “su un omosessuale che sarebbe divenuto eterosessualedopo un ictus all’emisfero destro, e uno studio del 2003 su un quarantenne che dopo l’insorgere di un tumore aveva preso a molestare la figlia e che aveva smesso dopo la rimozione del tumore”.
Trattasi però, secondo il magistrato giudicante veneziano, di casi sperimentali che non hanno quel sufficiente tasso di condivisione nella comunità scientifica da poter essere impugnati come binario per discolpare in punto di diritto un cittadino che risponda di reati peraltro gravissimi.
Un altro caso che riportiamo, mutuandolo sempre da “Leggi.it” integralmente: “In merito all’esame del ricordo autobiografico, impiegato ad esempio sulla vittima dal giudice Guido Salvini a Cremona nella sentenza Battistrada del 19 luglio 2011, per la giudice Marchiori ‘i risultati non possono ritenersi pienamente affidabili” in quanto è “una metodologia di carattere sperimentale i cui risultati non possono essere ritenuti indiscussi” soprattutto perché "non si può escludere che il ricordo, specie se riferito a situazioni complesse e protrattesi nel tempo, possa essere frutto di suggestioni o autoconvincimenti’”.
Insomma, che la scienza possa e debba essere, a volte insostituibile, ancella della giurisprudenza va bene, ma che questa sua nobile vocazione possa tramutarsi in servaggio di parte bèh, allora proprio bene non andiamo.
Come? Semplice.
Partendo dall’assunto che le neuroscienze possano evidenziare, in qualità di elemento di prova a discarico per mezzo di una perizia, l’incapacità di dominare certi impulsi in casi di pedofiliaaddirittura conclamata, dove cioè esiste un tizio che è reo confesso del reato. Insomma, un pasticcio maledetto in cui si mescolano darwinismo, squallido sessappiglio da verbale al 112 e procedura penale che, in alcuni casi che censiremo con l’aiuto dell’ottimo “Leggi.it”.
Le neuroscienze sono quelle tecniche anche forensi che hanno come scopo quello di “spiegare le correlazioni tra il sostrato biologico e l’attività mentale di una persona”.
In buona sostanza sono uno scalino alto e comodo per dimostrare in un’aula di tribunale che, se hai tastato la tetta della tua segretaria senza il suo consenso, è perché eri predisposto geneticamente ad un impulso che concettualmente poi coincide con una violazione del Diritto e non perché, più semplicemente, sei imputabile e magari, fuor di valutazione giurisprudenziale, anche un tantinello suino.
Di esempi su questo grimaldello procedurale ve ne sono a caterve: nel 2009, per esempio, il loro impiego aveva permesso ad un assassino di beneficiare di alcune attenuanti in forza dell’idea che una variante genetica lo potesse indurre a comportamenti violenti.
Non erano trascorsi neanche due anni che, nel 2011, si bissò con patate: infermità mentale parziale ad una omicida con riduzione di pena di 10 anni, da 30 a 20.
Sempre nel 2011, “hannus horribilis” per lo stato dell’arte di questa sub-disciplina penale, un ulteriore caso da sturbo: le neuroscienze ficcarono naso e sostanza nel caso di un commercialista, sia pur condannato, a cui venne fatto “l’esame del ricordo autobiografico” al cervello della segretaria che lo aveva denunciato le molestie sessuali; una specie di “rewind”, anche velatamente umiliante per la parte lesa, per evidenziare particolari che magari potessero accertare la tesi per cui quelle molestie erano il frutto di un atavico istinto conservato nel filamento ad elica del Dna.
Il caso più eclatante però si era verificato quando Roberta Marchiori, giudice del Tribunale di Venezia, in un caso di abusi in un asilo, ne aveva avuto abbastanza di vedere questa sorta di versione al contrario di Csi, dove beccucci, sostanze chimiche e genetica parevano un po’ troppo al servizio di un garantismo “alla Piero Angela” che mal collimava, pur essendo il processo penale italiano di carattere accusatorio (è la Procura che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato e non il contrario), con le obiettive aberrazioni di certe consulenze.
Il caso è quello di un pediatra di un asilo nido di Vicenza, reo confesso di abusi su 6 bambine costatigli ora 5 anni con rito abbreviato, caso in cui “il tema del processo era l’ingresso o meno, come prova, delle novità scientifica in virtù della quale la difesa proponeva la non imputabilità per incapacità di intendere e volere al momento dei fatti.
I consulenti ingaggiati dall‘avvocato difensore Lino Roetta, ossia i professori Giuseppe Sartori e Pietro Pietrini, ritenevano infatti che il pediatra avesse maturato una sorta di ‘pedofilia acquisita’, e cioè che , insieme ad alcuni deficit cognitivi, il formarsi di una massa tumorale che premeva sul cervello (scoperta mediante una risonanza magnetica dai consulenti) avesse comportato sulla capacità di intendere e volere un deficit, non consentendogli il controllo degli impulsi sessuali”.
Fra risonanza magnetica, esami e colloqui tecnico clinici, tutto sembrava fondare “sull’Implicit Association Test, Iat, l’esame del ricordo autobiografico sviluppato dall‘equipe di Tony Greenwal nel 1998 per studiare l’intensità dei legami associativi tra concetti rappresentati nella memoria, e far emergere l’informazione implicita inconscia che potrebbe anche non essere accessibile alla coscienza del soggetto”.
Roba pesante come ghisa, in una comunità scientifica, ma scottante come lava del Vesuvio se il suo utilizzo dovesse diventare prassi forense, facile intuirlo. La differenza sostanziale del caso di pedofilia a Venezia stava tutta nel fatto che in quel caso la perizia della difesa si era rotta i premolari contro il muro di una contro consulenza della Procura, che ha dimostrato come la storia dell’applicabilità delle neuroscienze al diritto di difesa di un imputato fosse risicata e poco probatoria.
Casi scuola furono quelli, nel 2009 “su un omosessuale che sarebbe divenuto eterosessualedopo un ictus all’emisfero destro, e uno studio del 2003 su un quarantenne che dopo l’insorgere di un tumore aveva preso a molestare la figlia e che aveva smesso dopo la rimozione del tumore”.
Trattasi però, secondo il magistrato giudicante veneziano, di casi sperimentali che non hanno quel sufficiente tasso di condivisione nella comunità scientifica da poter essere impugnati come binario per discolpare in punto di diritto un cittadino che risponda di reati peraltro gravissimi.
Un altro caso che riportiamo, mutuandolo sempre da “Leggi.it” integralmente: “In merito all’esame del ricordo autobiografico, impiegato ad esempio sulla vittima dal giudice Guido Salvini a Cremona nella sentenza Battistrada del 19 luglio 2011, per la giudice Marchiori ‘i risultati non possono ritenersi pienamente affidabili” in quanto è “una metodologia di carattere sperimentale i cui risultati non possono essere ritenuti indiscussi” soprattutto perché "non si può escludere che il ricordo, specie se riferito a situazioni complesse e protrattesi nel tempo, possa essere frutto di suggestioni o autoconvincimenti’”.
Insomma, che la scienza possa e debba essere, a volte insostituibile, ancella della giurisprudenza va bene, ma che questa sua nobile vocazione possa tramutarsi in servaggio di parte bèh, allora proprio bene non andiamo.
Neuroscienze come strumento per scagionare presunti molestatori nel nome della predisposizione genetica?
Un giudice veneziano non ci sta, eppure i casi censiti in cui molti imputati, alcuni addirittura rei confessi, hanno ottenuto consistenti sconti di pena o addirittira assoluzioni non mancano.
Ma da oggi si cambia registro e le perizie "comode" dovranno avere dignità scientifica riconosciuta.
Un giudice veneziano non ci sta, eppure i casi censiti in cui molti imputati, alcuni addirittura rei confessi, hanno ottenuto consistenti sconti di pena o addirittira assoluzioni non mancano.
Ma da oggi si cambia registro e le perizie "comode" dovranno avere dignità scientifica riconosciuta.
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