Ci sono molti scrittori la cui notorietà è legata al mondo scolastico, e per questo restano un po' ostici a priori, ed altri che invece sono amati dal grande pubblico ma, poichè considerati autori di letteratura di intrattenimento, snobbati dagli ambienti accademici.
Qui in Italia questo è il destino di due scrittori molto noti, e apparentemente pensati come molto distanti tra loro: Giovanni Pascoli e J.R.R.Tolkien.
Il primo ci viene fatto studiare sui banchi di scuola, e in linea di massima appare come un poeta piuttosto noiosetto, con tutto quel piagnucolare sui propri morti; il secondo viene associato al suo più famoso romanzo fantasy, "Il Signore degli Anelli", tornato agli onori della ribalta anche grazie ai film che ne sono stati tratti, e considerato perciò uno scrittore di mera narrativa.
Niente di più sbagliato, sia in un caso che nell'altro, e cerca di dimostrarlo, in un saggio che verrà pubblicato dalla casa editrice Polistampa, Simonetta Bartolini, docente di Letteratura Italiana e Letterature Comparate all'Università Luspio di Roma. L'autrice effettua un confronto tra i due personaggi, molto più vicini di quanto non sembri soprattutto nel loro interesse per la linguistica e le cosiddette "lingue morte", quelle del passato che nessuno parla più.
Entrambe scrissero dei saggi: Pascoli il noto "Il Fanciullino" nel 1903, e Tolkien "On fairy stories" ("Sulle fiabe") nel 1939.
In entrambe i casi, essi trattano della favola, del mito, e della possibilità di creare un'epica moderna basandosi soprattutto sulla lingua e sulle sue origini, riscoprendola e facendola rivivere nella contemporaneità. Si scopre così che in Pascoli il rimpianto del passato non è legato solo alle persone perdute, ma sopratutto la nostalgia delle parole morte; e che in Tolkien fu la passione per le antiche rune a spingerlo a creare un mondo inventato che però era soprattutto, nelle sue intenzioni, una narrazione mitologica delle origini dell'uomo, e dei molteplici modi di esprimersi.
In particolar modo, quello che entrambe gli scrittori desideravano non era un ritorno al passato, ma una sua rivitalizzazione nella modernità, affinchè l'espressione semantica riacquistasse la sua profondità, portando al contempo alla riscoperta dei valori universali che da sempre fanno l'uomo tale.
Ed è bello anche constatare come sia Pascoli che Tolkien, in tale ottica, considerassero la fiaba non solo un racconto per bambini, ma la struttura stessa di un'epica universalmente valida, in ogni luogo e in ogni tempo.
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